Ieri sono andato al cinema a gustarmi il nuovo film di Superman diretto da James Gunn. Mi è piaciuto molto, è stata una piacevole sorpresa, ma non è questo il tema dell’articolo - anzi, se volete saperne di più, qui trovate una mini-recensione no spoiler. Quel che voglio dire è che vado al cinema a vedere tizi in calzamaglia dal 1979, anno dell’arrivo in Italia del Superman di Richard Donner. E da allora non ho più smesso.
Insomma, nonostante sia trascorso quasi mezzo secolo (mezzo secolo!), a me i cinecomic piacciono. Mi divertono ancora, sia i film al cinema che le serie TV. Lo affermo in assoluta tranquillità, perché credo che ogni genere abbia il diritto di esistere e che si possa trovare bellezza, intelligenza o semplice e puro intrattenimento anche nei prodotti più leggeri.
Ovvio (anzi, diciamo ovvio per me…) che, quando parlo di cinecomic, lo faccio sempre con la consapevolezza che non sto analizzando Citizen Kane e che non avrebbe alcun senso usare gli stessi parametri critici che si userebbero per un film di Kurosawa. Sarebbe come valutare un romanzo rosa allegato a Novella 2000 utilizzando come pietra di paragone Moby Dick.
Ma proprio perché li guardo, proprio perché continuo a seguirli e a farmi intrattenere, mi sento anche in diritto di dire che qualcosa è cambiato. Se penso al Superman di Donner, allo Spider-Man di Sam Raimi, ai primi X-Men di Singer, al Batman di Burton e Nolan, mi torna in mente una sensazione ben precisa, che oggi mi sembra in gran parte (ma non del tutto, grazie al cielo) svanita: quel sense of wonder, quella strana alchimia che trasformava ogni uscita in un piccolo evento. C'era qualcosa di speciale, allora. Un desiderio di stupire, di osare, di costruire mondi. Certo, anche quelli erano blockbuster pensati per incassare, non erano certo film indie o esperimenti avanguardisti, ma nei film di Donner, di Burton, di Nolan, di Raimi e se vogliamo anche di Singer si percepiva comunque un’impronta autoriale, una voglia di raccontare qualcosa attraverso il fondamentale sguardo del regista.Oggi, invece, sempre più spesso mi sembra di assistere a prodotti industriali confezionati quasi in serie, che lasciano pochissimo spazio alle divagazioni artistiche. Lungi da me fare discorsi pseudo snob, ma è evidente che, man mano che gli universi cinematografici si sono espansi e sono diventati la regola per il genere, la libertà creativa si è sempre più contratta. Più film, più serie, più crossover, più connessioni e - almeno sulla carta - meno rischio per chi ci mette i soldi. La macchina deve funzionare, ogni ingranaggio deve essere al suo posto. Ogni film deve assolvere a un compito: introdurre un personaggio, preparare il terreno per il sequel, accennare al prossimo film della saga.
Con il paradosso che di certi film si finisce per apprezzare di più la scena post-credits che il film stesso! Follia.
Produzioni multimilionarie che richiedono incassi quasi miliardari per rientrare nei costi. E, in mezzo a tutto questo, la voce del regista, la sua visione, il suo tocco, sono sempre più annacquati, quando non addirittura percepiti dagli Studios come un inutile fastidio. Non è un caso se molti registi più o meno talentuosi, ma comunque autori apprezzati per la loro capacità di imprimere un’impronta personale alle proprie opere, si siano progressivamente allontanati dal genere supereroistico, o abbiano espresso opinioni piuttosto critiche nei suoi confronti.
Altri ancora si sono ritrovati intrappolati in produzioni sempre più vincolate, con margini di libertà creativa ridottissimi. Il risultato? Film spesso privi di una chiara identità, né carne né pesce, accolti tiepidamente sia dalla critica che dal pubblico.
Registi che hanno lasciato il terreno a colleghi più…tecnici e meno artisti. Anche bravi, per carità, ma senza quel guizzo autoriale capace di contraddistinguere un film e renderlo davvero unico e particolare.
Certo, non sempre, fortunatamente. Ci sono le eccezioni che confermano la regola: vedi Sam Raimi con il suo Dottor Strange, Vedi The Batman di Matt Reeves. Vedi Zack Snyder (consentitemelo, dai...). E vedi James Gunn – vi ho già detto che Superman è assolutamente da vedere? Ma, in generale, il risultato è che oggi i cinecomic non sorprendono più. Non emozionano come prima. Non sono più eventi. Sono semplicemente film, uno dopo l’altro, alcuni ben fatti, altri meno, ma tutti tirati da un filo invisibile che conduce all'appiattimento.
Lo affermo con dispiacere, non con disprezzo. Io continuerò a guardarli, a sperare nel colpo di genio, nel guizzo inatteso. Ma credo che, per tornare a meravigliarci davvero, bisognerebbe ricominciare a rischiare. A dare fiducia agli autori. A rimuovere le ingombranti sovrastrutture che rischiano di appesantire il lavoro del regista, di compromettere una buona scrittura. A ricordarci che l’immaginazione è il motore di tutto, soprattutto nei film che parlano di Dei col martello e gente che spara raggi laser dagli occhi. Non solo la CGI!
Mi auguro che Superman - attualmente al cinema e che sta già raccogliendo ottimi pareri - e il prossimo film del MCU I Fantastici Quattro - Gli inizi che arriverà in sala il 23 luglio, siano dei successi di critica e di pubblico. Questo serve, oggi, al genere.
Anche perchè una serie infinita di film senz'anima, alla lunga, finisce per stufare un po' tutti: fanboys e pubblico generalista. A occhio mi sembra che sia quello che - sempre con le dovute eccezioni (insomma, andate a vedere Superman!) - sta succededendo oggi: lo pensate anche voi?
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