04/09/2025

Scusi, dove sono i cartoni per bambini?

Solo chi è veramente buono farà suonare l’erba musicale!

Chi, come me, è cresciuto negli anni Settanta ricorda bene cartoni animati come Tofffsy (con 3 f, non è un refuso…) e l’erba musicale (musicale, musicale: su, siate seri!), una piccola gemma dell’animazione italiana creata da Pierluigi de Mas nel 1974. La serie, composta da ventisei brevi episodi di circa cinque minuti ciascuno, raccontava le avventure di un folletto dal curioso doppio ciuffo biondo, che si allungava ogni volta che gli veniva un’idea. Era ambientata in un castello fiabesco in cui la fantasia era assoluta protagonista. Nonostante l’artigianalità della produzione, Tofffsy riusciva a costruire atmosfere incantate e poetiche, affrontando con delicatezza temi come la solitudine, la diversità, il coraggio, il perdono e la redenzione. Le storie avevano un ritmo lento, a tratti malinconico e invitavano i bambini a riflettere e a immedesimarsi, senza temere di mostrare sfumature emotive anche complesse. 
A quei tempi i cartoni animati come Tofffsy non erano prodotti iperserializzati pensati per un consumo compulsivo. Erano piccole opere alla buona, ma capaci di lasciare un segno profondo nell’immaginario dei bimbi più piccoli. Il fatto che a distanza di più o meno cinquant'anni io me ne ricordi ancora, qualcosa vorrà pur dire, no? Se ci spostiamo ad oggi, ci troviamo di fronte a un panorama completamente diverso
Prendiamo Peppa Pig, creata nel 2004 in Inghilterra da Neville Astley e Mark Baker. Secondo me rappresenta molto bene il modello di animazione contemporanea destinata ai bambini: episodi brevi, una grafica essenziale e, soprattutto – e questa è la principale differenza col passato – una narrazione semplice e immediata. In vent’anni sono stati realizzati oltre quattrocento episodi di Peppa Pig. Una longevità impressionante che la dice lunga sulla sua capacità di conquistare i nostri figli e nipoti. Ora, è innegabile che questa semplicità abbia dei meriti: Peppa Pig è pensata per essere rassicurante, educativa e accessibile. Perfetta per accompagnare i primi anni di vita, con personaggi dalle emozioni chiarissime e situazioni che riflettono la quotidianità dei piccoli spettatori. 
Eppure, guardando a prodotti come Tofffsy, sembra che in questo processo di semplificazione si sia perso qualcosa. Uno degli elementi più evidenti di questa trasformazione è l’influenza del politically correct. Se negli anni Settanta gli autori godevano di una libertà creativa e narrativa che permetteva loro di mostrare personaggi imperfetti, conflitti anche crudi e scenari non sempre rassicuranti, oggi ogni contenuto è calibrato al millimetro per evitare offese e stereotipi. Tutto ciò ha sicuramente portato benefici. Voglio dire: è giusto che i cartoni animati riflettano una società più inclusiva e attenta alle diversità, che rappresentino con rispetto culture e identità. Allo stesso tempo, però, questa attenzione maniacale spesso si trasforma in una sorta di timore reverenziale che può appiattire le storie, rendendole sterili, prive di tensione emotiva e di tutte quelle sfumature che insegnano ai bambini a confrontarsi con emozioni complesse. 
Insomma, un vero e proprio cambio di paradigma: i cartoni di una volta, pur con i loro limiti, sfidavano l’immaginazione dei bambini, mentre molti prodotti odierni preferiscono rassicurare piuttosto che stimolare

Un’altra enorme differenza risiede nel modo in cui i bambini si approcciano a questi contenuti. Negli anni Settanta (e Ottanta e Novanta…) l’appuntamento con i cartoni era un momento speciale: bisognava aspettare l’orario della messa in onda e quell’attesa arricchiva l'esperienza. Oggi, tutto è disponibile subito, on demand, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ci sono molti canali TV dedicati e, sempre più spesso, i bambini fruiscono dei contenuti attraverso piattaforme come YouTube Kids. Qui la promessa è quella di un ambiente sicuro, con filtri che dovrebbero proteggere i più piccoli da contenuti inappropriati. E così molti genitori, o perché effettivamente oberati da mille impegni, o più semplicemente per svogliatezza, delegano a queste piattaforme il controllo dei figli e la selezione di ciò che possono o non possono vedere. Tutto bene, dunque! Ma neanche per sogno: premesso che (e mi sembra quasi stupido doverlo ribadire) i filtri non dovrebbero prendere il posto dei genitori, gli algoritmi possono sempre sbagliare e – dulcis in fundo - il modello stesso di una piattaforma come YouTube Kids è progettato per favorire il consumo continuo e la monetizzazione, non per accompagnare la crescita emotiva dei bambini. 
Con il risultato che molti piccoli spettatori crescono in un ambiente iperstimolato, fatto di video brevi e infiniti, ad libitum e i genitori non intervengono quasi più, perdendo il loro ruolo di mediatori culturali, facendosi cullare dalla falsa sicurezza di un sistema che decide per loro. 
Questa delega ha conseguenze profonde: se negli anni Settanta i cartoni animati erano esperienze dosate e per questo memorabili, oggi sono contenuti a ciclo continuo, usa-e-getta, che rischiano di perdere valore emotivo e narrativo. Attenzione: non è mia intenzione demonizzare le piattaforme digitali o cartoni animati come Peppa Pig. Mi chiedo, però, se queste comodità e questi nuovi approcci pedagogici non ci stiano facendo perdere qualcosa di importante, cioè la capacità di accompagnare i nostri bambini nel loro mondo immaginario, di condividere con loro il significato delle storie che facciamo loro ascoltare e vedere. 
OK, mi si potrebbe obiettare che anche negli anni Settanta e successivi la TV era già uno strumento largamente adoperato per togliersi i figli di torno. Ma, rispetto ad oggi, come abbiamo visto, c’è un evidente divario sia in termini di quantità (ore di fruzione) che di qualità

In fondo, il vero confronto non è tra Tofffsy e Peppa Pig, tra la TV e Internet, ma tra due universi culturali. Nel primo, i cartoni erano eventi, esperienze a tutto tondo che lasciavano spazio alla riflessione. Nel secondo, sono prodotti progettati per essere consumati in serie, rassicuranti e ipersemplificati. 

Non penso che la mia sia solo la nostalgia di bambino degli anni Settanta: è davanti agli occhi di tutti (anche di coloro che non vogliono vedere), che, nella corsa verso una rassicurante semplicità, potremmo aver sacrificato poesia e profondità. E la domanda che dovremmo porci non è quale dei due modelli sia migliore, ma se siamo ancora disposti a essere i veri curatori dell’immaginazione delle nuove generazioni, o se preferiamo che siano algoritmi e Intelligenze Artificiali a raccontare loro il mondo.
In attesa che raggiungano l’età (sempre più maledettamente bassa) per intontirsi completamente con TiKTok.

Nessun commento:

Posta un commento

TOP 5 ARTICOLI