Premessa indispensabile: se il tema delle scan illegali di fumetti fosse affrontato unicamente dal punto di vista giuridico, ci sarebbe ben poco da aggiungere: la legge è chiara, non si possono distribuire o leggere fumetti piratati, punto e basta.
Ma ridurre la discussione a ciò, significherebbe ignorare il contesto socioculturale, economico e
– ovviamente – tecnologico che circonda il fenomeno. Un sano dibattito non solo ne arricchisce la comprensione, ma può perfino aiutare a migliorare l’aspetto normativo (utopia?). La censura e il moralismo, invece, finiscono sempre per impoverire il discorso e per lasciare le cose esattamente come sono.
– ovviamente – tecnologico che circonda il fenomeno. Un sano dibattito non solo ne arricchisce la comprensione, ma può perfino aiutare a migliorare l’aspetto normativo (utopia?). La censura e il moralismo, invece, finiscono sempre per impoverire il discorso e per lasciare le cose esattamente come sono.
Detto questo, l’argomento scan e scanlation (ovvero scan + translation, con riferimento alle scan accompagnate da una traduzione più o meno amatoriale dei testi – dico più o meno perché, talvolta, le traduzioni sono migliori di quelle ufficiali) divide i lettori e gli addetti del settore: c’è chi dice che no, dura lex sed lex e le considera un furto bello e buono e chi, all’opposto, le vede alla stregua di un atto di resistenza culturale: un modo per favorire la diffusione di un’opera, facilitarne l’accesso, con giustificazioni più o meno plausibili («Se ho acquistato l’opera cartacea perché non devo poter avere anche quella digitale?»).
Il Cyberpunk e le le basi ideologiche della pirateria
Per capire meglio la questione, permettetemi di fare un piccolo salto indietro: più precisamente agli anni ’80 e al movimento Cyberpunk. Il Cyberpunk, che ha previsto un futuro dominato dalle Reti e dalle Corporation tecnologiche, dove le tecnocrazie controllano la circolazione delle informazioni, sostiene che la conoscenza appartiene a tutti e che nessuna Corporation debba detenerne il monopolio. Una filosofia che ha trovato una sua concretizzazione nelle pratiche di pirateria digitale: software, film, musica e naturalmente libri e fumetti.
Dunque, molti lettori hanno spesso giustificato l’uso delle scan come scelta etica: se un’opera non viene tradotta, se è introvabile o se è proposta a prezzi proibitivi, allora digitalizzarla e diffonderla diventa un modo per permetterne l’accesso a tutti.
I precedenti
La storia si ripete, visto quanto già avvenuto nei primi anni duemila con la pirateria musicale e cinematografica. Napster, eMule, Torrent furono demonizzati quali strumenti di pirateria, ma furono anche la prova di un fabbisogno crescente e insoddisfatto: la gente voleva musica e film in digitale. Da quella stagione anarchica nacquero poi Netflix e Spotify, piattaforme che hanno dimostrato che il problema non era tanto il rifiuto di pagare, quanto l’assenza di un’offerta ad hoc.
Lo stesso discorso potrebbe valere per i fumetti (inizia a valere?): un servizio che li raccolga in digitale, rapidamente e a costi contenuti, potrebbe ridurre drasticamente l’attrattiva delle scan illegali. Un servizio che, per inciso, in Italia non c’è. Perché non vuol dire nulla «imparate l’inglese e usate Marvel Unlimited». Che discorso è? L’accesso deve essere garantito nella madrelingua del lettore e non credo che questo punto sia negoziabile.
Dai buoni propositi ai guadagni illeciti
Ma la questione si complica quando si passa dalle motivazioni agli effetti. Le scan (e questo discorso vale molto di più con i contenuti audiovisivi, vedi tutta la polemica sul calcio pezzotto) nascono idealmente come strumento di condivisione gratuita. E piattaforme in parte dimenticate dalla maggioranza degli utilizzatori di materiale piratato, come eMule e Torrent, lo sono per loro stessa natura. Però, oggi, spesso e volentieri chi lo distribuisce finisce per trarne profitto, grazie a siti dedicati infarciti di pubblicità di qualsiasi tipo (anzi, soprattutto a sfondo pornografico), accessi premium e quant’altro. Per non parlare dei rischi legati all’accesso a queste piattaforme. Intendo rischi per la propria privacy, per il furto di dati, la diffusione di trojan e virus, eccetera. E così, le buone intenzioni originarie vengono stravolte in un cortocircuito: la difesa dell’accesso universale diventa occasione di guadagno illecito. Questo sì ingiustificabile al 100% (almeno, dal mio punto di vista)!
Mancati introiti veri o presunti?
Un’altra questione, spesso usata come gancio per demonizzare la pirateria, è quella legata alle perdite miliardarie del settore. Le associazioni di categoria stimano normalmente danni catastrofici, sostenuti da numeri enormi. Ma questi calcoli si basano sulla supposizione che ogni download o visual illegale equivalga a una copia o a un accesso venduto in meno. Un presupposto discutibile: se una persona accede a un contenuto piratato e non potesse più farlo, non è detto che lo comprerebbe, anzi probabilmente rinuncerebbe a consumarlo. In questo senso, le stime risultano gonfiate e non restituiscono la vera realtà del fenomeno.
L'uso della pirateria da parte dell'industria
Dall’altro lato, nessun media mainstream, quando affronta il fenomeno, si sofferma su alcuni aspetti favorevoli all’industria stessa. Nel caso specifico dei fumetti, per dire, non mancano casi in cui la diffusione non ufficiale ha favorito gli stessi editori. Alcuni manga sono diventati popolari proprio grazie alle scan, che hanno creato comunità di lettori appassionati ben prima dell’arrivo delle edizioni ufficiali. Quando poi queste sono uscite, hanno trovato un pubblico maturo, già imparato e pronto ad acquistarle. Anche in Italia esistono esempi simili: opere indipendenti hanno guadagnato notorietà attraverso la circolazione amatoriale, salvo poi essere accolte con favore dal mercato legale.
Se poi parliamo di videogames, il successo della Sony con la PlayStation è sicuramente in parte dovuto alla diffusione dei videogiochi facilmente clonabili ai tempi di PS1 e PS2. Stesso discorso per il successo di Microsoft con Windows e Office, che sono diventati standard di mercato proprio grazie all’enorme diffusione pirata che ebbero al loro debutto.
Dimostrazioni incontestabili che pirateria e mercato non sempre sono in contraddizione e che il confine tra danno e addirittura vantaggio è più sottile di quanto sembri. Anzi, spesso l’industria ha usato la pirateria come cavallo di troia per arrivare velocemente al consumatore e battere la concorrenza. In modo tutt’altro che etico…
La pirateria come...termomentro dei prezzi
C’è anche un altro aspetto da considerare: esiste una sorta di pirateria latente, pronta a esplodere nuovamente nel momento in cui i prezzi delle piattaforme legali dovessero superare una determinata soglia critica. È accaduto già in parte con i servizi streaming (calcio in particolare): quando gli abbonamenti hanno cominciato ad aumentare e i cataloghi a frammentarsi, il traffico illegale è tornato a crescere. Questo perché entra in gioco la legge del costo-opportunità: il consumatore valuta il rapporto tra il prezzo che paga e il beneficio che ottiene. Se il costo di accesso legale diventa troppo alto rispetto al valore percepito, allora la convenienza si riduce e la pirateria torna ad essere un’alternativa praticabile.
Dunque, non è sbagliato affermare che la semplice esistenza della pirateria contribuisce a calmierare i prezzi: le aziende sanno che non possono spingersi oltre un certo limite, perché altrimenti rischiano di perdere utenti non verso la concorrenza, ma verso la pirateria stessa.
In definitiva, il discorso sulle scan etiche (e sulla pirateria in generale) è tutt’altro che banale e non si risolve certo con un «sì sono a favore» o con un «no è sbagliata». Il Cyberpunk ci ha insegnato che la tecnologia aiuta a rompere le regole imposte dall’alto, ma oggi sappiamo che non basta essere ribelli: serve anche un nuovo equilibrio. E, forse, la strada è quella che già cinema e musica hanno percorso: trasformare il problema della pirateria in occasione per ripensare i modelli di distribuzione, invece che limitarsi a criminalizzare chi cerca solo di leggere.
Soprattutto, alla luce di come il mercato del fumetto si sta evolvendo (ne ho già parlato qui).
Anche perché mi pare evidente che la repressione tecnologica, con il ban degli IP dei siti pirata e amenità simili, lascia il tempo che trova. Il problema non si argina con il manganello (virtuale o fisico che sia), ma con l’intelligenza. Che però sembra ormai un accessorio che i nostri politici non hanno di serie.
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